Ho mentito a me stessa

Ho mentito a me stessa. Ho creduto che ripetendo nel mio cuore ciò in cui volevo credere, per ciò solo, quella potesse diventare realtà, che fosse realtà, che non esistesse alcuna altra realtà.

Mi piaceva credere che funzionasse, che ingigantire un segno fosse prova della cura.

Poco più di un anno fa ho iniziato a praticare Yoga, perché calmava la mente ed io avevo bisogno di tenere a bada i miei demoni. Perché “tap on the mat” era la parola d’ordine per tacitare il frastuono impertinente dei miei processi mentali. In effetti è ciò che accadeva: per molti mesi, srotolare il tappetino nel momento in cui sentivo grattare delle unghie sull’uscio, mi ha permesso di ristabilire il silenzio; praticare qualche ciclo respiratorio riattivava il diaframma dimenticato. E tornava la pace del cuore.

Episodicamente quel sinistro scalpiccio tornava; mi sentivo contrariata per il solo fatto che ciò avvenisse. Credevo ancora nello Yoga come panacea e mi destabilizzava constatare che in realtà quei pensieri esistessero ancora, che, anche se molto più raramente, tornassero a rammentarmi la loro presenza, insidioso e non richiesto promemoria.

Però era un attimo. Forse qualcuno in più. Ma tutto tornava al suo posto. E io provavo la gioia di una guarigione in fase avanzata.

Invece non era vero. Non era una guarigione, non era un ristabilire la pace del cuore.

Era mera illusione. La verità vera era altra. In questi mesi ho solo messo dei tappi alle orecchie per non sentire quelle unghie sulla porta, ho spinto giù dalle scale della mia coscienza il mostro della paura, senza fargli alcun male, si che lui è risalito ed è rimasto lì paziente ad osservarmi, ad aspettare il momento in cui soffocarmi.

Ho mentito a me stessa. Non ho mai dissolto i miei pensieri atroci sulla caducità della vita, non ho mai superato la paura della malattia, della fine, del dolore; non ho mai accettato l’idea della perdita, del cambiamento radicale. Della morte.

E’ bastata una notizia di quelle tremende, sebbene non particolarmente vicina, per far rotolare me da quelle scale, per farmi soffocare dalla paura, dallo spavento cosmico, per mozzarmi il fiato, far collassare le gambe; per vedere evaporare come una goccia d’acqua nel deserto di fuoco, quelle speranze che coltivo da un anno, vederle volare via, spazzate dal vento del mondo, riducendole al nulla che in questo momento mi appaiono, ad una accozzaglia di vuote parole, sciocchi rituali, incapaci di resistere alla sconvolgente bufera della realtà.

Un fuoco incrociato di ricordi, di volti da cui non riesco a separarmi mi ha centrato in pieno. Volti che non ho mai sentito di aver realmente perso, e vorrei urlare, perché invece è così.

Ho mentito a me stessa. La mia anima paurosa deve fare i conti con l’ineluttabilità della vita in tutti i suoi svolgimenti, di cui anche malattia e morte sono parte. Non vorrei neanche nominarli, perché la fragilità del mio essere è infinita come lo è l’inafferrabilità di questo mistero.

E non riesco ad invocare la mia pratica per salvarmi ancora. O forse è proprio ciò che dovrei fare.

7 pensieri su “Ho mentito a me stessa

  1. Yoga era una panacea. La guarigione dell’anima è difficile, lunga ma va curata la mente con chi t vuole bene. Complicato perché un esiste la bacchetta magica. Difficile perché se ne parla e non esiste una ricetta sicura.
    Devi credere in te stessa. Devi credere in quello che fai. Duro e difficile ma devi crederci con tutta l’anima.

    1. Ci sono cose, situazioni, persone, pensieri, capaci di mettere a nudo il tuo nucleo più fragile, che rimane fragile e mai si fortifica, se non con corazze apparenti. La ricerca di meccanismi di autoguarigione, di vie spirituali, ci aiuta a credere in una ragione di vita, per convincerci che il dolore del presente sia cosa infima e superabile. Ma si tratta, appunto, di credere, mentre le vicende umane sono dotate di rozza concretezza, perciò più invasive. Invidio chi è dotato di fede incrollabile perché riesce veramente a vedere sempre il sole dietro le nuvole.
      Io vedo solo il nuvolone nero, grosso e incombente e il sole dietro di esso lo immagino appena, senza molta convinzione.

      1. Capisco il tuo punto di vista e il tuo pessimismo. Si tratta di modificare l’angolazione della vista – la fede c’entra poco – e vedere un lato positivo anche in quelli negativi.Dietro i nuvoloni c’è sempre il sole, salvo le ore notturne, si tratta, ma ammetto non è impresa facile, togliere qualche nuvola, per far filtrare un raggio di sole. Ogni mattina mi dico che dopo la tempesta viene sempre il sereno.

        1. Da mesi ormai ho mantenuto un approccio molto positivo e mi sono trovata ad essere di supporto a chi parlava come sto parlando oggi io. Mi chiedo se: a) vista le reazione che ho avuto di fronte all’ennesima bruttura, quell’atteggiamento positivo che credevo di avere fatto mio e consolidato, non fosse, invece, solo una corazza in cui ho voluto credere, ma che è rimasta a livello superficiale; b) se, a forza di essere di supporto, non abbia in definitiva, svuotato la mia coppa, così da trovarmi sprovvista per far fronte al mio fabbisogno……
          In tal caso devo reintegrare…. Mentre nella prima ipotesi, dovrei, come dici tu, ricominciare a lavorarci

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